Grosseto, 13.06.2008
(Prof. Stefano Preziosi)
La trattazione del tema, oggetto della presente relazione, non può senz’altro prescindere da quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza 27.09.2007, n. 2451, Magera (pubblicata in Cass. pen., 3/2008, 898 ss., con commento di M. Gambardella, Nuovi cittadini dell’Unione europea e abolitio criminis parziale dei reati in materia di immigrazione).
Nel caso di specie, a seguito del ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Genova avverso la sentenza con cui il Tribunale aveva assolto il cittadino rumeno Paul Magera, alias Paul Barna, dall’imputazione di ingiustificata permanenza nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene, la prima Sezione ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, chiedendo di stabilire se «la sopravvenuta circostanza che dal 1.01.2007 la Romania è entrata a far parte dell’Unione europea giustifichi l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 2 c.p. e debba, quindi, fare pronunciare l’assoluzione con la formula “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” nel processo a carico di un cittadino rumeno imputato del reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998 per l’inosservanza dell’ordine di lasciare il territorio italiano anteriormente emesso dal questore a seguito del decreto prefettizio di espulsione».
Nel caso che interessa, due sono invece gli orientamenti diffusi in giurisprudenza. Secondo il primo, si è in presenza di una vicenda successoria di norme extrapenali che non integrano la fattispecie incriminatrice (così Cass. 11.01.2007, Ferlazzo, rv. 236028, in tema di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina relativa all’ingresso illegale in Italia di cittadini della Polonia, poi anch’essa entrata nell’Unione europea; Sez. I, 8.05.2007, n. 22805, Mathe e Sez. I, 15.06.2007, n. 29728, Afloarei, relative sempre a cittadini rumeni; Sez. VI, 16.12.2004, n. 9233/2005, Buglione, rv. 230950, relativa a cittadini lettoni).
Nella medesima direzione, particolarmente significativa è la sentenza Sez. I, 22.11.2006, n. 42412, Balota, rv. 235584, la quale fonda la sua decisione su ragioni connesse alla struttura del delitto di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998 che «si perfeziona con la mera realizzazione della condotta», deducendone che «non rilevano né la previsione di un futuro ingresso dello Stato di appartenenza del cittadino extracomunitario nell’Unione europea, né l’adesione in itinere del suo Paese d’origine». Peraltro, va detto che in diversi casi la Corte di Cassazione ha deciso i ricorsi relativi alla fattispecie de qua senza neppure prospettarsi la possibilità che in seguito alla perdita della qualifica di «straniero», che l’imputato aveva invece al momento del fatto, potesse ravvisarsi un fenomeno di abolitio criminis ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. (cfr. Cass., Sez. I, 27.02.2007, n. 9345, Trandafir; Sez. I, 14.03.2007, n. 19096, Iordache; Sez. I, 27.03.2007, n. 17576, Todeanca).
Secondo l’orientamento opposto, il caso di specie integra invece un fenomeno di successione “mediata” di norme penali, con applicazione dell’effetto abolitivo di cui all’art. 2, comma 2, c.p. (in tal senso, Cass., Sez. Un., 23.05.1987, Tuzet, relativa alla qualificazione dell’attività degli istituti di credito).
A ben vedere, si può dunque concludere nel senso che, se da un lato non esiste alcun contrasto in giurisprudenza in ordine alla specifica questione inerente la punibilità dei reati previsti agli artt. 12 e 14, d.lgs. 286/1998 relativi a stranieri che successivamente abbiano acquistato la cittadinanza europea, dovendosi in tal caso riconoscere una semplice modifica della rilevanza penale del fatto senza incidenza alcuna sulla residua punibilità, si evidenziano, invece, due diverse concezioni sugli effetti che in genere può determinare la modifica di norme extrapenali cui quella penale incriminatrice faccia riferimento.
Il tema appare pregiudiziale rispetto a quello posto nel caso Magera in quanto è chiaro che, ove dovesse ritenersi che la modifica di norme extrapenali si risolva sempre in un fenomeno di successione - sia pur mediata - di leggi penali, anche la giurisprudenza in materia di immigrazione clandestina sarebbe inevitabilmente destinata ad una brusca inversione di tendenza.
Tema che appassiona e divide anche la dottrina, come dimostra la pubblicazione di due recenti lavori monografici (M. Gambardella, Abrogazione della norma incriminatrice, Jovene, Napoli, 2008; G. Gatta, Abolitio criminis: successione di “norme integratrici”: teoria e prassi, Giuffré, Milano, 2008), nell’ambito della quale si registrano opinioni contrapposte.
Da un lato, la tesi secondo cui la modifica di ogni disposizione richiamata (implicitamente o esplicitamente) dalla fattispecie, finisce con il produrre un fenomeno di successione di leggi penali ai sensi dell’art. 2 c.p. Dall’altro lato, c’è la tesi secondo cui la modifica di leggi diverse da quella penale non rileva se il nucleo della fattispecie non cambia, essendo sostanzialmente assimilabile a quella relativa a meri presupposti di fatto.
In posizione intermedia, si utilizzano invece criteri valutativi per distinguere la modifica di leggi extrapenali rilevante o irrilevante ai sensi dell’art. 2 c.p. a seconda che sia venuta meno, anche per il passato, la lesività del fatto o che tale effetto non si sia determinato (così, ad esempio, M. Donini, Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili costituzionali, in Cass. pen., 2003, 2877 ss.).
Ciò premesso, sia pur intervenendo nella specifica materia della immigrazione clandestina, la sentenza Magera, costituisce un altro punto di riferimento imprescindibile in tema di successione di leggi penali nel tempo (unitamente alla sentenza Sez. Un. 26.03.2003, n. 25887, Giordano in tema di false comunicazioni sociali e, da ultimo, Sez. Un. 28.02.2008, n. 16601, riguardante invece gli effetti della modifica della nozione di «piccolo imprenditore», apportata con i dd.lgs. 5/2006 e 169/2007, in ordine all’applicazione del reato di bancarotta anteriormente commesso).
Semplificando, il principio affermato dalla Cassazione può così riassumersi. L’indagine sugli effetti penali della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla fattispecie astratta e non al fatto concreto: non basta, cioè, appurare che il fatto commesso dall’imputato non costituisce più reato, ma occorre stabilire se la norma extrapenale modificata svolga, in collegamento con la disposizione incriminatrice, un ruolo tale da far ritenere che, pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte non sia più prevista come reato, alla stregua di abolitio criminis parziale.
Né la nozione di «fatto» di cui all’art. 2 c.p. potrebbe farsi coincidere con quella di fatto storicamente determinato in tutti gli aspetti rilevanti ai fini dell’applicazione di una disposizione incriminatrice, ivi compresi quelli disciplinati da norme extrapenali, come pure sostenuto in dottrina (T. Padovani, Diritto penale, Giuffré, Milano, 2006, 43 ss.; G.Fiandaca-E.Musco, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 2007, 96).
In buona sostanza, si prende atto della infondatezza di ogni tesi estrema, volta a negare o ad affermare sempre e comunque che la modifica di leggi extrapenali importi un fenomeno di successione di leggi ai sensi dell’art. 2 c.p. e si ribadisce la necessità di introdurre una distinzione, sostanzialmente corrispondente a quella cui si ricorre nell’applicazione dell’art. 47, comma 3, c.p. per stabilire se un errore su legge diversa da quella penale escluda o meno la punibilità (quantomeno a titolo di dolo).
A chiarire la logica di questa distinzione torna utile l’esempio - addotto dalla sentenza Magera - delle disposizioni c.d. “definitorie”, intese come quelle che possono idealmente sostituire la parte della disposizione penale che le richiama: si pensi ai termini di «minori» o «minorenni» che figurano in diverse disposizioni penali e che potrebbero essere sostituite con le parole «persone che non hanno compiuto la maggiore età». O, per l’appunto, alla parola «straniero», che esprime un elemento normativo della fattispecie di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998, la quale potrebbe essere sostituita con la locuzione «il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea o apolide».
Ecco spiegato allora per quale motivo – ad avviso della Cassazione - l’essere rumeno significa oggi solo essere cittadino dell’Unione europea con la conseguenza per cui, ai fini dell’applicazione delle fattispecie connesse all’immigrazione clandestina, l’ingresso del suo Stato nell’Unione - così come una sua futura eventuale esclusione – non dà luogo a una successione, sia pur mediata, di leggi penali ma costituisce un «mero dato di fatto», ancorché risultante da un’attività normativa.
Mentre all’opposta conclusione potrebbe giungersi nel caso in cui la novella normativa intervenisse direttamente sulla nozione di «straniero» contenuta nell’art. 1, d.lgs. 286/1998, escludendo i cittadini di uno Stato in attesa di adesione all’Unione, con ciò sottraendo alla fattispecie penale una parte della sua sfera di applicazione, secondo lo schema tipico dell’abolizione parziale riconducibile all’art. 2, comma 2 (così già sent. Giordano, cit.).
Lo stesso effetto - affermano i giudici di legittimità - potrebbe determinarsi ove, dalla più ristretta categoria degli stranieri che devono essere espulsi, individuata all’art. 13, comma 2, d.lgs. 286/1998, venisse escluso chi si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione di cui all’art. 27, comma 1-bis, o senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, nei cui confronti dovesse per ipotesi riservarsi un trattamento meno rigoroso di quello previsto per chi entri nel territorio dello Stato eludendo i controlli di frontiera.
Stesso principio può, infine, applicarsi alla modifica delle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambi di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato - operata con il d.lgs. 154/2007 in attuazione della Direttiva 2004/114/CE – la quale può sì consentire allo straniero di ottenere un permesso che prima gli era precluso, ma non certo far venir meno la punibilità, ai sensi all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998, di un fatto commesso in precedenza. Alla luce di quanto sinteticamente esposto, sembra possibile svolgere alcune brevi considerazioni.
In primo luogo, v’è da rilevare che, in tema di successione di leggi nel tempo, la Cassazione si sta ormai costantemente orientando per l’adozione di un criterio di tipo “strutturale”, prendendo apertamente le distanze dalla c.d. teoria del “fatto in concreto”, generalmente riassunta con la formula «prima punibile, dopo punibile, sempre punibile» e confutando la necessità di valutare l’effetto della modifica normativa con riferimento alla fattispecie concreta (così, invece, P. Severino, Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. Giur. Treccani, vol. XXX, 1993, 4 ss.).
Al riguardo si può rilevare che, nell’ambito di tale orientamento, almeno in alcuni passaggi, l’attenzione finisca per cadere sul profilo valutativo o comunque sostanziale.
Si può notare, ancora, che questo orientamento sembra non pienamente coerente con l’indirizzo che correttamente esclude la configurabilità del reato di associazione per delinquere per l’avvenuta depenalizzazione del reato-fine (Cass., Sez. I, 9.03.2005, n. 13382, Screti, rv. 232491), la quale elimina ogni contenuto di disvalore anche del reato associativo di cui è parte integrante; mentre, in modo alquanto discutibile, si giunge alla conclusione opposta nel caso della calunnia, la cui punibilità permane anche a seguito della eventuale depenalizzazione del reato oggetto della falsa incolpazione (Cass., Sez. VI, 8.04.2002, n. 14352, Bassetti, rv. 226425; Sez. VI, 21.05.1999, n. 8827, Zini, rv. 214674; Sez. VI, 21.11.1988, n. 12673, Caronna, rv. 180011).
Ebbene, delle due l’una: o la modifica di leggi extrapenali integra in entrambi i casi un fenomeno di abolitio criminis parziale riconducibile all’art. 2, comma 2, c.p. oppure non determina alcun effetto abolitivo tanto rispetto al reato associativo, quanto rispetto alla calunnia.
Ma in ogni caso rimane fermo che è solo alla permanenza dell’offesa che potrebbe farsi eventualmente risalire la asserita continuità dell’illecito, con esclusione di ogni ipotesi di abolitio. Tanto che, da questo punto di vista, la sentenza Magera sembra condivisibile nella misura in cui stabilisce la punibilità del cittadino rumeno che abbia violato l’ordine di espulsione prima della efficace adesione del suo Paese d’origine all’Unione europea, in quanto comunque l’offesa si sarebbe oggettivamente e soggettivamente realizzata.
La seconda osservazione è invece collegata alle connessioni – pur rilevate nella sentenza Magera - tra l’art. 47, comma 3, c.p. e l’art. 2 c.p., così come ivi interpretato.
Se, infatti, proprio dalla disciplina dell’errore su legge diversa da quella penale - e in modo del tutto condivisibile - si argomenta nel senso di dover comunque distinguere la modifica di norme extrapenali che integra un fenomeno di successione di leggi, in quanto incide sul precetto, da quella che non produce questo effetto, in quanto produce una variazione di mero fatto, dovrebbe coerentemente assistersi, in futuro, ad una reviviscenza dell’art. 47, comma 3, c.p. fin qui, soggetto, come noto, ad una vera e propria interpretatio abrogans.
In conclusione, non può in questa sede nascondersi il sospetto che, in definitiva, la vera motivazione per cui le Sezioni Unite hanno aderito alla tesi della continuità dell’illecito nel caso dei cittadini rumeni entrati illegalmente nel territorio italiano e poi ivi trattenutisi in violazione di ordini di espulsione, si colleghi ad una finalità marcatamente general-preventiva.
Nel caso in cui si fosse optato per un fenomeno di abolitio parziale il rischio era, infatti, quello di travolgere improvvisamente tutti i processi in corso, oltre a determinare una situazione pressoché paradossale in cui si azionerebbero processi penali del tutto inutili, per reati destinati poi a venir meno nel momento in cui il Paese di appartenenza del l’imputato entrasse a far parte dell’Unione; senza considerare l’effetto sulla psiche del soggetto, il quale sarebbe persino incentivato a trasgredire le regole senza timore di incorrere in sanzione alcuna, confidando nella successiva abolitio criminis. Sotto questo profilo, soluzione altrettanto utile allo scopo poteva essere quella di considerare la fattispecie di cui all’art. 14, comma 5-ter, d.lgs. 286/1998 alla stregua di «legge temporanea» ai sensi dell’art. 2, comma 5, c.p. come tale sempre esclusa dall’applicazione delle regole in tema di successione di leggi penali nel tempo.