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22/06/2010

Relazione Prof. Preziosi - Convegno Associazione Italiana Vittime della Strada Onlus - Roma,Camera dei Deputati, 22.06.2010


Quale elemento soggettivo per lesioni o morte provocate dalla violazione di regole in materia di circolazione stradale?

Ringrazio innanzitutto l’Associazione italiana familiari e vittime della strada, ringrazio in particolare la Dottoressa Mastrojeni che mi hanno cortesemente rivolto questo invito per un intervento conclusivo che sicuramente non è agevole. Non solo per la quantità delle problematiche evidenziate in questo convegno, ma anche per l’ora e per la naturale, fisiologica stanchezza dell’uditorio. Ma, ad ogni modo, cercherò di fare il possibile.
Il mio intervento essenzialmente riguarda l’elaborazione giurisprudenziale di alcune tematiche e la scelta non è casuale. Non è casuale perché a mio avviso forse le sollecitazioni più concrete su questo tema provengono proprio dall’elaborazione giurisprudenziale. Per quanto naturalmente timida, a volte, potremmo dire perfino moderata, come del resto le deve convenire, credo che la giurisprudenza sul punto sia la risorsa più importante anche per un contributo innovativo in materia di tutela della sicurezza stradale. Naturalmente il mio punto di vista è quello della giustizia penale. Per questo sono stato chiamato. Quindi premetto che è un punto di vista parziale, limitato, importante ma forse neanche il più importante, soprattutto in termini di prevenzione degli infortuni stradali e di prevenzione della vera e propria criminalità stradale.
Ad ogni modo, andando subito in medias res: il confine fra dolo eventuale e colpa cosciente.
A me sembra che il punto cruciale sia stabilire che cosa significhi accettazione del rischio. La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente, lo ricordo sommariamente, è che nel dolo eventuale c’è l’accettazione del rischio di realizzazione dell’evento, mentre nella colpa - più esattamente con previsione - c’è la previsione dell’evento, ma con la certezza, la sicura convinzione da parte dell’agente, che esso non si realizzerà.
Il punto è proprio questo: l’accettazione del rischio rappresenta una formula vuota che può essere gestita in sede giurisprudenziale secondo accezioni diverse o molteplici? Oppure può assumere una sua connotazione oggettiva precisa?
La giurisprudenza di merito ha ritenuto possibile che illeciti quali gli omicidi colposi per violazione delle norme sulla circolazione stradale vengano qualificati - scusate la contraddizione in termini, che però in questo caso è voluta per evidenziare la problematica di fondo, come vedremo di qui a poco - come illeciti dolosi e precisamente con dolo eventuale; ha affermato, appunto, in alcuni casi importanti, un aspetto che a me sembra molto significativo.
Il ragionamento sostenuto in alcune pronunce è essenzialmente il seguente. Si può parlare di dolo eventuale quando l’agente pone in essere una condotta che ha come conseguenza la possibilità che si realizzi un evento assolutamente inevitabile. Cioè a dire che, in conseguenza della condotta, la possibilità di realizzazione di un dato evento non è scongiurabile neanche con una contromanovra di emergenza. Quando, cioè, per dirla in termini molto pratici e concreti, l’automobilista attraversi un incrocio con il rosso, senza fermarsi allo stop, a una velocità tale e in condizioni che nessuna manovra di emergenza sia possibile per evitare la collisione con un veicolo che si trovasse ad attraversare lo stesso incrocio in quel medesimo istante, potremmo parlare di dolo eventuale piuttosto che di colpa cosciente.
Se si riflette sulle ragioni della predetta impossibilità di effettuare la contromanovra di emergenza, ad esempio perché l’incrocio è cieco, non c’è visibilità, e quindi l’intervallo fra il momento in cui può essere visto il veicolo che viene nella direzione di marcia opposta e il momento dell’arresto non può comunque essere sufficiente ad evitare la collisione, evidentemente siamo di fronte a un evento che risulta assolutamente imponderabile: una volta realizzata la condotta antidoverosa, cioè in violazione di una regola precauzionale, quell’evento appare, cioè, non scongiurabile neanche con una contromanovra di emergenza. Da questa constatazione la giurisprudenza, in alcuni casi, appunto, ne ha fatto discendere la possibilità di qualificare tale condotta come dolosa, seppure nella forma del dolo eventuale.
La conclusione, a mio avviso, è condivisibile: “laddove non c’è spazio per una contromanovra di emergenza, c’è evidentemente accettazione del rischio di realizzazione dell’evento, perché dire che non c’è accettazione del rischio significa dire che l’agente deve necessariamente ipotizzare, lasciarsi un margine di manovra, per così dire, per poter evitare l’evento, ancorché poi in concreto questo margine di manovra, questa possibilità, si riveli non realistica”.
Così, per esemplificare ulteriormente, colui che affronta una curva a velocità eccessiva e cioè a una velocità tale per cui con le sue capacità di guida non può governare il veicolo, ma rappresentandosi (erroneamente), con convinzione certa, che sarà in grado di controllare il veicolo, ancorché poi in concreto non vi riesca e quindi si verifichi l’evento dannoso, non potrà dirsi aver agito con dolo nemmeno eventuale. Ciò perché in un simile caso pur essendovi la previsione dell’evento, essa è neutralizzata da una ragionevole certezza che l’evento stesso sarà evitato dalla capacità di guida, dalla contromanovra di emergenza, o per effetto di altre condizioni che l’agente si è rappresentato come realmente presenti al momento del fatto.
Ma, al contrario, nell’ipotesi in cui il guidatore ponga in essere una condotta di guida tale che non c’è più la possibilità di scongiurare l’evento dannoso, e quindi affidi all’imponderabile la realizzazione o non dell’evento dannoso, effettivamente si potrebbe ritenere che c’è accettazione del rischio e conseguentemente dolo eventuale.
Che cosa possiamo dire, quindi? Che l’accettazione del rischio in questa prospettiva, che a me sembra almeno in linea di principio condivisibile, è data, in siffatte ipotesi, dall’aver percepito ed essersi conseguentemente rappresentata l’impossibilità di effettuare nella situazione concretamente data una contromanovra di emergenza idonea ad evitare l’evento dannoso. L’accettazione del rischio è costituita, cioè, dalla situazione di imponderabilità che si verifica in conseguenza di una condotta antidoverosa, i cui risultati non siano controllabili mediante la condotta dell’agente.
Seguendo tale linea ricostruttiva abbiamo il vantaggio di poter delineare secondo criteri relativamente certi, a mio avviso, la distinzione fra dolo eventuale e colpa cosciente nella casistica degli infortuni stradali, perché il giudice dovrà così considerare, innanzitutto, se in una prospettiva ex ante effettivamente fossero presenti le condizioni perché in astratto l’agente potesse effettuare una contromanovra di emergenza o comunque controllare il decorso casuale della propria condotta. Ove quelle condizioni mancassero, secondo un criterio oggettivo di ragionevolezza e quindi non alla stregua dello specifico agente, dovrà qualificare il fatto come doloso solo se l’agente abbia percepito e si sia effettivamente rappresentato l’impossibilità di evitare l’evento mediante la contromanovra di emergenza.
Dunque, ed ecco il punto che mi sembra di particolare rilievo, l’impossibilità di evitare l’evento in conseguenza di una condotta antidoverosa dovrebbe essere accertata sulla base di criteri oggettivi, secondo lo schema usuale in materia di responsabilità colposa e non dovrebbe essere sufficiente a fondare il dolo. Altrimenti ragionando, infatti, si trasmuterebbe questa forma di responsabilità in una finzione nominalistica, venendo il dolo a smarrire qualsiasi sostrato reale di natura psicologica e scadendo esso ad elemento, nel migliore dei casi, di ordine prettamente rappresentativo.
Ma se la descritta impossibilità oggettiva di evitare l’evento da parte di chi agisca antidoverosamente – in violazione di una regola precauzionale – venga percepita e rappresentata come tale dall’agente, la situazione psicologica effettiva si identifica nell’accettazione di uno sviluppo causale imponderabile (sicuramente imponderabile, non solo possibilmente tale), la quale non può essere altrimenti definita che accettazione del rischio di realizzazione dell’evento.
In altri termini, l’accettazione del rischio non è niente altro che abbracciare l’imponderabile; consentire che l’esito possibile di una condotta (coscientemente antidoverosa) si concretizzi.
Di diverso avviso è stata la giurisprudenza di legittimità, che ha fatto un discorso forse non diverso in linea di principio, ma partendo da alcuni presupposti che a mio parere non sono del tutto condivisibili e spiego subito perché.
La Cassazione, in sostanza, ha fatto leva sulla mancanza di un nisus cosciente, cioè di un atteggiamento doloso della volontà, ricollegandolo al momento in cui l’agente si è reso conto dell’imminenza dell’evento dannoso.
Nel momento in cui c’è l’attraversamento col rosso di un incrocio, o comunque un’altra manovra stradale pericolosa, l’agente si rende conto a un certo punto che sta sopravvenendo un altro veicolo, che sta in prossimità di un urto, di un impatto con un altro veicolo o con un’altra persona. In questo momento, proprio perché non gli è possibile effettuare alcuna contromanovra di emergenza, non si può, secondo la Cassazione, neanche affermare che agisca dolosamente. Non ci sarebbe, cioè, una volontà di realizzazione dell’evento, proprio in quanto c’è una situazione tale per cui, a quel punto, non è più governabile il decorso casuale degli eventi. Mancherebbe, quindi, quell’atteggiamento caratteristico della volontà dolosa che è dato dall’adesione, dall’accettazione del rischio, perché in quel momento non c’era nessuna possibilità di accettare o non accettare il rischio e, quindi, se sulla base delle circostanze emerse in sede processuale si può desumere che non c’era comunque una volontà diretta di cagionare l’evento, si deve concludere per l’affermazione della colpa con previsione.
Ritengo che quest’impostazione - dettata forse anche da alcune affermazioni del consulente tecnico, che, però, a mio avviso, avevano tutt’altra intenzione - e cioè dire: “nel momento in cui l’agente si rende conto di quello che sta per succedere non ha più alcuna possibilità di manovra”, non è condivisibile perché, in realtà, il dolo deve essere agganciato all’ultimo frammento della condotta causale rispetto all’evento e nel momento in cui l’agente non è più in grado di governare il corso degli eventi siamo già al di fuori dell’ultimo frammento della condotta causale. L’atteggiamento della volontà, in particolare della volontà dolosa, deve essere ricollegato all’ultimo momento causale della condotta e l’ultimo momento causale della condotta, in questo caso, è quello in cui l’agente continua a tenere il piede sull’acceleratore. E’ questo l’ultimo frammento causale della condotta rispetto all’evento, non l'istante successivo, in cui l’agente resosi conto dell’ineluttabilità dell’urto solleva il piede dall’acceleratore. Perché a tal punto non ha più alcuna efficienza causale la sua condotta. L’efficienza causale è data dalla condotta che appunto comporta l’accelerazione del veicolo, la prosecuzione della marcia dove essa non sarebbe consentita. E quindi è a quel segmento temporale, a quella condotta, all’ultimo frammento di essa che deve essere ricollegata l’eventuale volontà dolosa.
Se ciò è vero, come già dicevo, è proprio l’impossibilità di prevedere una manovra d’emergenza che contrasti la possibile realizzazione dell’evento dannoso a far sì che la condotta possa effettivamente essere qualificata come dolosa, seppure appunto sub specie di dolo eventuale. In realtà, la Cassazione ha anche un pò “strizzato l’occhio” ad alcune impostazioni dottrinali, naturalmente rispettabilissime e anche autorevolmente sostenute, secondo le quali perché vi sia dolo occorre un’adesione emozionale rispetto all’evento. Queste impostazioni, a mio modestissimo parere, però, non sono condivisibili, perché rischiano innanzitutto di aggiungere qualcosa di superfluo e di inafferrabile che con l'elemento soggettivo del reato ha poco a che fare.
L'adesione emozionale, in secondo luogo, rimane estranea alla lettera del Codice, perché ivi viene definito il delitto doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento da cui dipende l’esistenza del delitto è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della sua azione o omissione. Quindi mi sembra che da questa definizione fuoriesca il profilo dell’adesione emozionale rispetto all’evento.
Vedo pertanto più corretta l’impostazione del giudice di merito che invece sottolinea una misura oggettiva normativa anche nel dolo, la quale consiste proprio nell’ascrizione dell’evento a tale titolo ogniqualvolta l’agente si sia posto in contrasto con norme dell’ordinamento e abbia affidato all’imponderabile la possibilità di realizzazione dell’evento dannoso.
C’è un però, tuttavia, in questo ragionamento.
Ed è che in realtà, al di là della possibile adesione a una tesi piuttosto che all’altra, il problema del dolo eventuale in re licita, nell’ambito di attività consentite, quale è la circolazione stradale, è un problema molto serio, come gli addetti ai lavori ben sanno.
E’ difficile immaginare il dolo nell’ambito di un’attività, ancorché pericolosa, consentita, cioè nel superamento della soglia di rischio consentito, ed è estremamente difficile immaginarlo perché in realtà quando si pone in essere un’attività pericolosa violando le regole precauzionali che la presidiano si potrebbe essere tentati di dire che per definizione non c’è dolo, non c’è volontà dell’evento.
L’esempio di scuola del chirurgo che sta operando il suo acerrimo nemico e che viola le regole dell’arte medica per provocarne la morte è un esempio abbastanza ambiguo, perché se in realtà il medico cagiona la morte della vittima per imprudenza, negligenza o imperizia, ancorché detestasse e volesse emozionalmente l’evento a carico del suo sfortunato paziente, non potrebbe comunque rispondere a titolo di omicidio doloso, perché avrebbe causato la morte per imprudenza, negligenza o imperizia e cioè perché non era in grado di tenere la condotta che l’ordinamento gli imponeva, o perché comunque ha trascurato determinate regole precauzionali, non prevedendo l’evento dannoso; ma con ciò siamo al di fuori del dolo.
Se, al contrario, avesse violato la regola dell'ars medica proprio per cagionare la morte, lasciando ad esempio il tampone nell’addome del paziente per provocarne una terribile infezione, saremmo ovviamente nell’ambito dell’omicidio doloso. Ma non perché ci sia la violazione di una regola precauzionale, ma in quanto sussiste una condotta causalmente efficiente rispetto all’evento, che è stato preveduto e voluto come conseguenza della propria azione. Quindi non c’è propriamente violazione in questo secondo caso di regole precauzionali.
E questo si spiega perché l’omicidio doloso è essenzialmente un reato a forma libera e l’omicidio colposo, come anche le lesioni colpose, forse lo sono molto meno, perché c’è la colpa e c’è la violazione della regola precauzionale che funge da criterio di tipizzazione della condotta. E allora, effettivamente, il dolo eventuale rispetto ad attività consentite in cui la conseguenza è l’effetto della violazione di regole precauzionali, non è facilmente concepibile.
E’ anche questa una sfida, un terreno di dibattito, anche di scontro giurisprudenziale e dottrinale che necessita di un percorso abbastanza lungo. Credo che in taluni casi si possa parlare di dolo eventuale, ma naturalmente facendo tutti quei distinguo e quelle precisazioni che adesso ho appena abbozzato e su cui mi riservo di tornare in altra sede.
Andiamo allora su altro versante che però è strettamente collegato a quello fin qui trattato.
La giurisprudenza, di merito in particolare, cerca di individuare correttamente dei criteri di qualificazione della colpa come colpa grave. Se ne è parlato questa mattina, ne ha parlato il giudice Salvini. Colpa grave laddove c’è un difetto di percezione sociale. Si fa riferimento anche alla distinzione tra una colpa che consiste nella violazione di regole in cui chiunque potrebbe incappare e la colpa che invece testimonia di un atteggiamento del reo incline alla violazione di regole precauzionali e quindi incline alla lesione di beni giuridici, all’offesa di diritti altrui.
Questo profilo mi sembra molto rilevante, molto interessante, però, a diritto vigente, non può che essere trattato come mero criterio di commisurazione della pena. E’ un criterio meramente commisurativo. E’ vero, dopo le modifiche del 2008, effettivamente, quello che prima poteva essere un aspetto tutto sommato marginale, diventa un aspetto molto importante. Ecco un’altra breccia, anche in termini di difesa sociale e di prevenzione generale, che la giurisprudenza, ad un’attenta interpretazione delle norme, sta in qualche modo aprendo. La commisurazione della pena diventa un fatto importante perché l’escursione edittale è un’escursione importante e quindi, grazie a quest’intervento legislativo, il giudice può adottare dei criteri commisurativi di gravità della colpa ai sensi dell’art. 133 c.p. che hanno una notevole incisività, anche sul piano sanzionatorio, sul piano dell’afflittività della sanzione e persino su altri istituti collegati, come la scelta di riti alternativi ed altro.
Domando: si potrebbe pensare di riprodurre questi criteri, non soltanto ai fini di indici meramente commisurativi, ma piuttosto e anche come criteri discretivi, rispetto a un criterio di imputazione, a un titolo di responsabilità differenziato dalla colpa? Si potrebbe perciò pensare di individuare dei criteri alternativi - e si trova traccia di questo anche nelle proposte di iniziativa legislativa promosse da questa Associazione, così come se ne trova traccia nella giurisprudenza quando si parla appunto di scarsa percezione sociale, di violazione di regole precauzionali che non è occasionale. Quando si parla di comportamento stradale manifestamente aggressivo.
Si potrebbe pensare, sulla scorta di queste sollecitazioni, a dei criteri idonei a differenziare il tipo di responsabilità o a individuare una ipotesi di colpa grave, non rilevante solo in sede commisurativa, ma rilevante come ipotesi differenziale di responsabilità, cioè quale criterio d’imputazione del reato?
A diritto vigente riterrei di no. Però potrebbe essere un sollecitazione utile in sede di iniziativa legislativa. L’esperienza degli ordinamenti anglosassoni, le ipotesi di fattispecie qualificata e i casi di speciale gravità nell’ordinamento tedesco, le fattispecie qualificate da determinate conseguenze, i casi di speciale gravità con regole esemplificative, che non vincolano il giudice, ma che gli forniscono un criterio valorativo per individuare i casi più gravi in concreto.
A mio avviso questa direzione potrebbe rappresentare anche un’utile sollecitazione in sede di (molto) eventuale riforma, perché forse si tratterebbe di proposte che non vanno a toccare istituti che hanno una portata così generale, così sistemica, che molto probabilmente susciterebbero una serie di barriere, di ostacoli. Difficilmente sormontabili.
Forse sarebbe relativamente più semplice proporre l’introduzione di casi di speciale gravità rispetto all’omicidio colposo o alle lesioni colpose, o delle fattispecie qualificate rispetto a queste ipotesi di reato, perché si tratterebbe in fondo di norme innovative, ma che non toccano istituti che hanno una portata sistemica, soprattutto istituti processuali, come il patteggiamento, come la partecipazione della vittima al processo penale, che inevitabilmente sollecitano corde molto profonde e che altrettanto inevitabilmente fanno innalzare delle resistenze altrettanto forti.
Dunque si può pensare a una funzione differenziale del titolo di responsabilità fondata sul disvalore della condotta, cioè sulla gravità della violazione della regola precauzionale? A mio avviso sì, tenendo presente una cosa: che nel disvalore del reato colposo noi possiamo effettivamente isolare un disvalore della condotta legato al carattere sintomatico della violazione della regola precauzionale rispetto alla personalità del reo.
Chi si comporta aggressivamente è sintomaticamente più pericoloso rispetto a chi non si comporta aggressivamente, ancorché l’evento sia lo stesso. Ma si può anche pensare a una graduazione, a una individuazione di un titolo di responsabilità più grave rispetto alla colpa semplice, fondato non tanto sul disvalore soggettivo della condotta e quindi sul carattere sintomatico della violazione della regola precauzionale, ma sull’entità del pericolo, cioè sul grado di pericolosità della violazione della regola precauzionale.
In altri termini e a titolo di esempio, talune violazioni di regole del codice della strada, o comunque di prudenza stradale, sono più pericolose, hanno un grado di pericolosità maggiore rispetto alla possibile realizzazione dell’evento e, quindi, in questo senso la loro violazione evidenzia un profilo di disvalore oggettivo della condotta.
Non dobbiamo infatti cadere nella semplificazione “disvalore della condotta=disvalore soggettivo, disvalore dell’evento=disvalore oggettivo”. C’è anche un disvalore oggettivo della condotta. Talune violazioni o modalità di violazione delle regole precauzionali denotano sicuramente un disvalore oggettivo maggiore della condotta, in quanto possiedono un grado di pericolosità – quindi su di un versante oggettivo dell’illecito – maggiore rispetto ad altre, laddove per grado di pericolosità intendo una maggiore probabilità di realizzazione dell’evento considerato riconnessa alla violazione di talune specifiche regole precauzionali.
Quindi, sulla base di un lavoro empirico orientato alla prassi – ecco, perciò, ancora una volta, emergere l’importanza delle statistiche, dei dati empirici – si potrebbero elaborare delle regole di prudenza stradale che hanno un quoziente di pericolosità maggiore e che quindi denotano un più elevato disvalore oggettivo dell’illecito colposo, ancorché legato alla condotta, perché l’evento naturalmente è sempre lo stesso.
Dunque, il nesso regola precauzionale-evento può essere rivisto, a mio modestissimo parere, secondo un profilo evolutivo in sede di interpretazione delle norme e cioè riconsiderato non soltanto in chiave di delimitazione dell’ambito di protezione della fattispecie colposa.
Il nesso regola precauzionale-evento, sappiamo bene che è massimamente importante perché ci dice anche quali eventi ricadono nell’ambito di protezione della regola precauzionale violata e quindi anche quali eventi siano ascrivibili a titolo di colpa all’agente e quali non lo siano; ma in questa chiave ha solo una funzione delimitativa, cioè traccia il perimetro di tipicità dell’illecito colposo.
Io credo che oltre a questa funzione – che è naturalmente una funzione chiave anche dal punto di vista politico criminale - il nesso regola precauzionale-evento possa essere ripensato (rectius: integrato) in ragione del disvalore che esso esprime per il grado di pericolosità ricollegato alla violazione della regola precauzionale.
Il profilo sanzionatorio, d'altronde, dovrebbe tenere conto di tutti gli aspetti sistemici. Non possiamo costruire un reato stradale avulso e differenziato rispetto al sistema della giustizia penale. Quindi a mio avviso l'apparato sanzionatorio dovrebbe modellarsi su figure differenziali di reato colposo da individuare in base a casi di speciale gravità o a fattispecie qualificate proprio dalle modalità di realizzazione del reato colposo.
Ma ci sono anche altri aspetti. Lla colpa non altrimenti qualificata dovrebbe pertanto allocarsi in un’area sanzionatoria più mite. Quindi potremmo avere una sorta di tripartizione, per così dire, della disciplina giuridica e sanzionatoria dei reati colposi, in particolare con riferimento al crimine stradale. Ma ci sono molti altre questioni, che pure riguardano il sistema sanzionatorio latamente inteso.
Mi sono chiesto tante volte: ma perché non si parla dell’introduzione della responsabilità da reato degli enti con riferimento agli illeciti penali stradali commessi nell’esercizio di attività d’impresa? Io credo che la quota di sinistri stradali ascrivibile alla circolazione di mezzi pesanti adibiti al trasporto di merci o al trasporto di persone sia molto significativa, non sia irrilevante. Già abbiamo nel nostro ordinamento la previsione di una responsabilità da reato degli enti per illeciti penali colposi. E’ stata introdotta con riferimento alle ipotesi di lesioni gravi e gravissime e di omicidio colposo derivanti dalla violazioni di norme antinfortunistiche e quindi in materia di diritto penale del lavoro. Dunque la responsabilità da reato colposo degli enti non è più un’anomalia. Naturalmente è stata accompagnata da molte critiche, molte perplessità che ci sono senz’altro. Però non è più un’anomalia.
Forse l’ipotesi di prevedere sanzioni a carico delle imprese di trasporto per lesioni o omicidio colposi derivanti dalla violazione di norme sulla circolazione stradale potrebbe essere una proposta quantomeno degna di essere considerata. Anche perché si tratterebbe di una proposta che va sulla scia di un ampliamento della responsabilità da reato degli enti e quindi, tutto sommato, dal punto di vista politico-criminale si colloca all’interno di un sentiero già tracciato, seppur relativamente a ad altri campi di disciplina, in tutt'altra direzione. Sarebbe una proposta da considerare all’interno di un solco già tracciato.
Qualche ulteriore considerazione eccentrica rispetto ai temi ora trattati.
Appare inconcepibile l’attribuzione al giudice di pace della competenza per lesioni colpose gravissime. Si tratta, a mio avviso, di una contraddizione, perché il giudice di pace evoca una giustizia conciliativa (con delle sanzioni per definizione miti), che non sembra compatibile con reati che comportano il sacrificio di beni giuridici di elevatissima portata, di elevatissimo rango come la vita e l’incolumità individuale e quindi non si può pretendere dalla vittima l'adesione a una giustizia conciliativa in relazione a questo tipo di reati. E’ una pretesa eccessiva. La si potrà pretendere in relazione a un altro tipo di reati - e comunque è discutibile - ma non in relazione a questi.
Venendo ad un altro punto, che intendo solo toccare fugacissimamente, mi sembra interessante quella assimilazione che l’Associazione propone fra la morte come evento tipico nelle fattispecie di omicidio e la riduzione in coma vegetativo permanente, perché sta a testimoniare di un disagio della società civile nei confronti di un Codice molto vecchio, il nostro, il codice fascista del 30, e in particolare di un disagio nei confronti di una parte di esso, la parte speciale relativa ai delitti contro la vita e l’incolumità individuale, che a mio avviso ormai è una delle più obsolete.
Mi piace cogliere questa sollecitazione perché anche sotto tale profilo si evidenza l'inadeguatezza del Codice vigente. E’ chiaro, ciò non riguarda solo i sinistri stradali come è evidente. Ma solo una logica primitiva, oserei dire, può considerare la tutela della vita umana esclusivamente rispetto all’evento morte di un uomo. Talune condotte, lesive di quella che oggi si chiama incolumità personale, non sono forse condotte che offendono la vita umana? Ridurre una persona, volontariamente magari, in fin di vita, accanendosi sul corpo umano, in concorso di una pluralità di persone, con violenza di gruppo, deve ancora essere considerato alla stregua di una lesione volontaria e non dovrebbe essere piuttosto riformulato nella prospettiva di una tutela della vita che ricomprende eventi di diversa natura biologica? Stesso discorso, naturalmente, dovrebbe valere anche sul versante dei reati colposi. Quindi è una sollecitazione utile, forse da non schematizzare eccessivamente, perché può avere un respiro più ampio che rispecchia un disagio profondo rispetto a una legislazione ormai troppo vecchia.

 

 
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