Con la sentenza della quarta sezione n. 2251 del 22 gennaio 2011 la Corte di Cassazione interviene, per la prima volta, sulla questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente responsabile ex d.lgs. 231/2001, rispetto alla quale si è ormai da tempo sviluppato un contrasto nella giurisprudenza di merito.
Secondo quanto affermato nella sentenza, in mancanza di una previsione espressa in tal senso, deve ritenersi che nel processo a carico dell’ente collettivo non sia ammissibile la costituzione di parte civile: ciò in quanto, prescindendo dalla natura (penale o amministrativa) della responsabilità ex d.lgs. 231/2001,l’illecito dell’ente appare «strutturato nella forma di una fattispecie complessa in cui il reato costituisce solo uno degli elementi fondamentali» e viene comunque garantita la posizione del danneggiato, il quale, oltre a poter tutelare immediatamente i propri interessi davanti al giudice civile, può citare l’ente come responsabile civile ai sensi dell’art. 83 c.p.p. nel processo penale nei confronti della persona fisica o anche in quello in cui si accerti la responsabilità dell’ente medesimo, nell’esercizio del proprio diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Viene quindi ribadita la piena “autonomia” dell’illecito addebitato all’ente rispetto a quello della persona fisica e dell’eventuale danno cagionato dal reato che non coincide affatto con quello derivante dall’illecito amministrativo di cui risponde l’ente: in realtà, si aggiunge, «i danni riferibili al reato sembrano esaurire l’orizzonte delle conseguenze in grado di fondare una pretesa risarcitoria». Né trova una causa “diretta” nell’illecito ascritto all’ente il danno subito da soci, creditori e dipendenti per effetto dell’applicazione delle sanzioni, pecuniarie o interdittive, previste nel d.lgs. 231/2001. Ai danni derivanti dal reato, e non dall’illecito dell’ente, si riferiscono, infine, gli sconti collegati a forme di reintegrazione e previsti negli articoli 12, 17 e 19, del medesimo d.lgs. 231/2001.
Nella sentenza, peraltro, «si osserva come la gestione dell’azione civile, lungi dall’essere un principio generale dell’ordinamento, si presenti in realtà sotto specie di una deroga al principio della completa autonomia e separazione del giudizio civile da quello penale, tanto che le disposizioni processuali che consentono la decisione nel giudizio penale dell’azione civile sono da considerarsi quasi eccezionali»: motivo per cui, ove anche si volesse ipotizzare la sussistenza di un danno come conseguenza diretta e immediata dell'illecito dell'ente, l'"ostinato silenzio" del legislatore sulla costituzione di parte civile depone nel senso di escludere tale soggetto dalla cerchia dei protagonisti del processo contro l'ente.
Sul punto, va però rilevato che, con sentenza del 9 febbraio 2011, il G.i.P. presso il Tribunale di Firenze (Dott. David Monti), previa sospensione del processo penale, ha sollevato, ai sensi dell'art. 234 TCE e 35 TUE, una questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia della Comunità Europea per stabilire se la normativa italiana in tema di responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/2001, nel non prevedere "espressamente" la possibilità che gli stessi siano chiamati a rispondere dei danni cagionati alle vittime dei reati nel processo penale sia conforme alle norme comunitarie in tema di tutela delle vittime e delle persone offese da reati nel processo penale. e, in particolare, all'art. 9 della Decisione-quadro n. 2001/220/GAI del 15 marzo 2001.