Con sentenza della Sezione III penale del 20 aprile 2011 (c.c. 15 dicembre 2010) n. 15657, la Corte di Cassazione ha affermato che, in linea di principio, gli obblighi derivanti dal d.lgs. 231/2001 si applicano anche alle “imprese individuali”. In particolare, si è precisato che i soggetti destinatari della normativa «non vanno soltanto individuati attraverso la loro espressa previsione o la loro altrettanto espressa esclusione, ma ben possono identificarsi sulla base dell’appartenenza alla generale categoria degli enti forniti di personalità giuridica nonché di società e associazioni anche prive di personalità giuridica»; conseguentemente si è rigettato il ricorso proposto per mancato assolvimento, da parte del medesimo ricorrente, dell’onere di provare che la propria impresa individuale fosse priva di personalità giuridica. Nelle motivazioni della sentenza ai aggiunge, poi, che, sul piano generale, «non può negarsi che l’impresa individuale (sostanzialmente divergente, anche da un punto di vista semantico, dalla cd. “ditta individuale”) ben può assimilarsi ad una persona giuridica nella quale viene a confondersi la persona dell’imprenditore quale soggetto fisico che esercita una determinata attività». Diversamente, prosegue la Cassazione, «si creerebbe il rischio di un vero e proprio vuoto normativo, con inevitabili ricadute sul piano costituzionale connesse ad una disparità di trattamento tra coloro che ricorrono a forme semplici di impresa e coloro che, per svolgere l’attività, ricorrono a strutture ben più complesse ed articolate». Si conclude, quindi, nel senso che una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2, comma 1, d.lgs. 231/2001 dovrebbe indurre a conferirgli una portata più ampia, «tanto più che, non cogliendosi nel testo alcun cenno riguardante le imprese individuali, la loro mancata indicazione non equivale ad esclusione, ma, semmai, ad una implicita inclusione dell’area dei destinatari della norma».