Di seguito il testo del commento del Prof. Preziosi alla sentenza del Tribunale di Torino, Sez. I, 21 dicembre 2010 (Gabetti e altri) in tema di manipolazione di mercato, dal titolo “IL PERICOLO COME EVENTO E L’ABBANDONO DELLO SCHEMA DI ACCERTAMENTO PROGNOSTICO NEI REATI DI PERICOLO CONCRETO” in corso di pubblicazione sulla rivista "Giurisprudenza commerciale".
SOMMARIO: 1. Prognosi e diagnosi nell’accertamento del pericolo concreto. – 2. Il rapporto pericolo-offensività del reato: – 3. Manipolazione di mercato e struttura del delitto tentato. – 4. La soluzione del Tribunale di Torino. – 5. Manipolazione di mercato e condotta omissiva.
1. Prognosi e diagnosi nell’accertamento del pericolo concreto
Il Tribunale di Torino affronta diffusamente una questione di capitale importanza nell’ambito del delitto di manipolazione di mercato; la quale, peraltro, ha riflessi notevoli sulla sistematica dei reati di pericolo in generale . Partendo dal presupposto – difficilmente contestabile – che l’illecito in questione appartenga al novero dei reati di pericolo concreto e che esso si differenzi dall’omologa violazione amministrativa prevista dall’art. 187-ter TUF in quanto contenente un elemento ulteriore rappresentato dalla concreta idoneità della notizia falsa (nella manipolazione informativa, ma anche, evidentemente, dell’operazione simulata o degli altri artifici in quella operativa) a provocare una sensibile “alterazione del prezzo” di strumenti finanziari , viene attribuito al pericolo il carattere di vero e proprio evento naturalistico, in guisa di elemento essenziale del reato che si aggiunge alla condotta e che si colloca in un momento successivo ad essa, con tutte le conseguenze del caso anche in termini di consumazione e di criteri di accertamento. Ne segue che “il modello del tentativo non può essere posto a confronto con quello dei reati di pericolo concreto del tipo di quello in esame nei quali il pericolo costituisce l’evento del reato” . La conclusione ci trova pienamente concordi, dato che avemmo occasione di anticiparla pressoché negli stessi identici termini in più riprese .
Essa muove da diversi argomenti tutti convergenti verso la medesima soluzione interpretativa. Ed infatti “nel caso di specie, invero, non deve essere ricostruita alcuna situazione non verificatasi […] perché lo stato di pericolo per gli strumenti finanziari richiesto dalla disposizione contestata è un elemento essenziale del reato e costituisce […] l’evento del reato stesso, per cui esso deve essere accertato in concreto in un contesto cronologico necessariamente successivo alla condotta, dal momento che, in quanto evento del reato, esso deve essere diretta conseguenza della condotta stessa” . Questo vuol dire che l’accertamento del pericolo non deve essere eseguito con giudizio ex ante, altrimenti non si accerterebbe “l’avvenuta lesione dell’interesse giuridico tutelato”, ma si perverrebbe ad un “semplice giudizio di pericolosità” della condotta . Detto altrimenti: “Ciò significa che la diffusione di notizie false non può realizzarsi in chiave di offesa di pericolo mediante un giudizio di prognosi postuma” . Con questo, vale la pena ribadirlo, la sentenza in commento si caratterizza per il fatto che il pericolo dell’alterazione dei prezzi non si esaurisce in mero giudizio di relazione, né lo si qualifica come situazione (Zustand) o, tutt’al più, “elemento” della fattispecie di manipolazione di mercato, ma gli si attribuisce invece il ruolo di vero e proprio evento “naturalistico” e, dunque, di “effetto” causalmente provocato (Erfolg) dal cui accertamento ex post, compiuto sulla base di tutte le circostanze disponibili, dipende la consumazione stessa del reato: nella ricostruzione del Giudice di merito la manipolazione di mercato assume, così, la fisionomia di reato di evento in senso stretto, il cui disvalore non si riferisce soltanto all’azione artificiosa o fraudolenta ma viene ad incentrarsi, innanzitutto, sul risultato prodotto (almeno in chiave di pericolo) sui prezzi degli strumenti finanziari.
2. Il rapporto pericolo-offensività del reato
La motivazione della sentenza in commento perviene alle predette conclusioni dopo un articolato percorso ricostruttivo ed interpretativo del rapporto pericolo-offensività del reato, seguendo la giurisprudenza costituzionale nonché alcune pronunce di legittimità.
Con riferimento alle fattispecie di pericolo astratto o presunto, viene richiamata quella giurisprudenza costituzionale (cfr., fra le altre, le sentenze: n. 126 del 5 maggio 1983, in Cass. pen., 1983, 1482; n. 71 del 5 giugno 1978, ivi, 1978, 1267; n. 333 dell’11 luglio 1991, ivi, 1992, 576; n. 133 del 27 marzo 1992, ibidem, 2612; n. 360 del 24 luglio 1995, in Foro it., 1995, I, 3083) la quale ha precisato “che anche per i reati ascritti alla categoria di quelli formali e di pericolo presunto od astratto è sempre devoluto al sindacato del giudice penale l’accertamento in concreto dell’offensività specifica della singola condotta” (C. Cost., 18 luglio 1997, n. 247, in Riv. trim. dir. pen. econ., 1997, 1341). Ciò nel senso che, ove la singola condotta in concreto accertata sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta ed essa rifluisce nella figura del reato impossibile ai sensi dell’art. 49, cpv., c.p. (C. Cost., 24 luglio 1995, n. 360, cit.). Per questo è compito del giudice espletare siffatto controllo di offensività in concreto e, in sua mancanza, non si radica alcuna questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice, ma soltanto un giudizio di merito devoluto al giudice ordinario che dovrà ritenere insussistente il reato per difetto di un elemento essenziale oggettivo.
Ciò premesso su di un piano sistematico, per i reati di pericolo concreto, invece, come già si è riferito, a tenore della motivazione della sentenza in commento, il pericolo assurge al rango di autonomo elemento essenziale che va ad aggiungersi alla condotta e non ne rappresenta soltanto un requisito intrinseco indefettibile ai sensi di una norma generale (art. 49, cpv., cit.) e di un principio di rango costituzionale che di essa (rectius: della sua corretta interpretazione costituzionalmente orientata) deve essere il presupposto . Altrimenti opinando si perverrebbe ad una interpretazione del pericolo concreto che risulterebbe in tutto e per tutto sovrapponibile a quella del pericolo astratto o presunto. E che una simile sovrapposizione sia errata, lo si evince e dagli argomenti sistematici cui ora si è fatto cenno, e da argomenti che si desumono specificamente dall’impianto sanzionatorio in materia di abusi di mercato.
La distinzione fra illecito amministrativo e penale, infatti, nonostante una parziale sovrapponibilità delle due figure , è in questa materia data proprio dalla diversa natura del pericolo , che in un caso può ascriversi alla categoria del
Ma detta natura del pericolo e la sua effettiva portata nella struttura della fattispecie non si attinge soltanto ad un livello teorico-generale dell’analisi , bensì deve evincersi anche dalla esatta ricostruzione del fatto-reato. Che, nel caso che ci occupa, è contrassegnato dalla necessaria presenza di un effetto della condotta, e dall’accertamento della sua relativa sussistenza consistente nella “richiesta situazione di pericolo per il buon andamento dei mercati finanziari” .
In conseguenza di ciò siffatto accertamento non può avvenire “tenendo conto della astratta situazione esistente al momento del compimento della condotta o, peggio ancora, in un momento ad essa precedente” . E l’idoneità a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non può nemmeno identificarsi con l’autorevolezza della fonte da cui la notizia falsa provenisse ovvero nelle circostanze di tempo e di luogo in cui fosse stata diffusa o, ancora, nelle specifiche modalità della condotta concretamente realizzata .
Occorre, invece, che l’accertamento del pericolo concreto nel delitto di manipolazione di mercato “venga effettuato su elementi concretamente riscontrabili in un momento successivo alla condotta, al fine di evitare che il giudizio di pericolo astratto e giudizio di pericolo concreto coincidano perfettamente” . In altri termini, bisogna tener conto di ciò che si è effettivamente verificato sui mercati finanziari dopo la diffusione della notizia falsa.
3. Manipolazione di mercato e struttura del delitto tentato
L’assunto del Tribunale di Torino è che nel delitto tentato ci si trovi in presenza “di un’ipotesi incompiuta rispetto alla previsione normativa”, causa il mancato verificarsi dell’evento o il mancato compimento della condotta e che proprio in ragione di ciò l’interprete sia chiamato ad accertare “in modo del tutto astratto e teorico l’idoneità e l’inequivocità della condotta” . E’ consequenziale a tale affermazione, pertanto, che il metro di valutazione qui non possa che esser dato dalla situazione esistente al momento della realizzazione della condotta, per verificare, mediante giudizio prognostico, cosa sarebbe potuto accadere secondo scienza ed esperienza disponibile nello stesso momento ma che, invece, non è accaduto, proprio in quanto l’iter criminis sia rimasto incompiuto .
A ben vedere, invece, relativamente alla manipolazione di mercato, come già avemmo occasione di dire e come la motivazione della sentenza in commento sembra ora sostanzialmente affermare “le condotte penalmente rilevanti […] sono innanzitutto costituite dalle falsità, dalle operazioni simulate o dagli artifici compiuti, che per una qualsiasi ragione non siano stati portati ad effetto ma che siano nondimeno operanti” . L’art. 185 TUF incrimina, infatti, la diffusione di notizie false, ovvero le operazioni simulate o gli altri artifici in quanto siano posti in essere . Da ciò deriva che “la diffusione di notizie false non può integrare il pericolo (concreto) della sensibile alterazione del prezzo, quando questa non si verifichi. Se la diffusione delle notizie vi è già stata, e l’effetto sul prezzo degli strumenti finanziari non sia stato prodotto, non è a parlarsi nemmeno di una pericolosità in concreto, perché si tratterebbe di una prognosi postuma controfattuale, che in questo caso non potrebbe dare esito positivo. Avendo riguardo allo stesso schema logico di accertamento utilizzato a proposito dell’“idoneità’ degli atti nel delitto tentato (art. 56 c.p.), qui la diffusione di notizie che si rivelasse inefficace rispetto all’alterazione sensibile del prezzo, sarebbe per antonomasia inidonea ai sensi dell’art. 49 cpv. c.p.” .
Questa constatazione ci portava ad affermare che “l’unica possibilità che la condotta ingannevole non porti ad effetto l’alterazione del prezzo e ciononostante possa qualificarsi come concretamente idonea, è data dal caso in cui per circostanze estrinseche alla condotta e al suo potenziale dannoso venga impedito l’effetto; detto altrimenti: che indipendentemente dalla condotta stessa, tali circostanze ne rendano impossibile (ex post) la verificazione” .
A questo riguardo avemmo occasione di dubitare dell’effettiva natura di reato di pericolo della manipolazione di mercato e, prima ancora, dell’aggiotaggio ex art. 2637, c.c. E che, comunque, anche a voler tener fermo lo schema del pericolo, si sarebbe dovuto parlare, in subiecta materia, di un pericolo del tutto peculiare “ove le ipotesi di mancata realizzazione dell’‘evento’ sussumibili nella fattispecie appaiono residuali” .
Pur continuando ad ascrivere la manipolazione di mercato ai reati di pericolo (concreto), bene ha fatto il Giudicante a modificare radicalmente il quadro concettuale di riferimento, esigendo la verifica corretta e oggettiva delle conseguenze prodotte sui mercati finanziari dalla diffusione della notizia falsa oggetto di contestazione, ed effettuando una attenta diagnosi, al fine di individuare gli elementi sintomatici del pericolo . Il Tribunale di Torino ha compreso il problema di fondo riguardante la struttura del pericolo nella manipolazione di mercato. Che, cioè “La diffusione delle notizie false equivale ad un’azione compiuta che attinge l’obiettivo cui era diretta; azione che, se non produce l’effetto dannoso (la sensibile alterazione del prezzo) evidentemente risulta radicalmente inidonea” .
In altri termini, a nostro giudizio – e in questo discostandoci per alcuni aspetti ricostruttivi (ma non per il risultato cui perviene) dalla sentenza in commento – seguendo lo schema di accertamento prognostico sulla falsariga della struttura del delitto tentato, si dovrebbe coerentemente pervenire alla esclusione del reato tutte le volte in cui non si verifichi la sensibile alterazione del prezzo; e, dunque, ad una trasformazione per via interpretativa della relativa fattispecie in reato di danno anziché di pericolo. Oppure, al contrario, l’alternativa è quella di pervenire ad una interpretazione che trasforma la fattispecie in questione in un reato di pericolo astratto il cui accertamento sarebbe subordinato a parametri che, a nostro avviso, non risultano rispettosi nemmeno dei requisiti implicitamente necessari (in negativo, ex art. 49, cpv., cit.) per la sussistenza del tentativo. Poiché, come si è visto, alla stregua di quegli stessi parametri la mancata verificazione dell’evento (di danno) dovrebbe a rigore escludere il reato per inidoneità dell’azione.
Non sembra condivisibile l’affermazione contenuta nella motivazione della sentenza in commento, secondo cui nel tentativo “si tratta, in altre parole, della necessità di verificare in modo del tutto astratto e teorico l’idoneità e l’inequivocità della condotta posta in essere con riferimento al delitto che non si è realizzato” . In realtà l’accertamento dell’idoneità non può essere considerato del tutto astratto e teorico, poiché a prescindere dalla sua base parziale o totale e dal grado di idoneità che gli atti devono presentare ai sensi dell’art. 56, c.p., certo è che il punto di osservazione deve sì collocarsi ex ante ma pur sempre in relazione alle circostanze di fatto concretamente esistenti nel momento della condotta, seppure conosciute prima (base parziale) o anche dopo (base totale) di essa. Ciò che caratterizza tale giudizio prognostico nel delitto tentato è piuttosto che le circostanze considerate devono essere tutte e necessariamente già presenti al momento della condotta. In questo senso, dunque, il giudizio di idoneità degli atti, ma anche il giudizio di inidoneità dell’azione a termini dell’art. 49, cpv., cit., sono formulati, uno ex ante l’altro ex post, con riferimento entrambi al momento della condotta. Essi, a nostro avviso, non sono in nessun caso di carattere astratto e si differenziano dal giudizio di idoneità/offensività in concreto riferito alle fattispecie di pericolo astratto e (soprattutto) presunto, cui pure fa riferimento la motivazione della sentenza richiamando alcune importanti pronunce della Corte costituzionale. Relativamente a queste ultime ipotesi, infatti, l’inidoneità è data da uno scarto fra tipicità e offesa. Ossia dalla mancanza nel fatto concreto della connotazione di offensività che costituisce il contenuto della fattispecie astratta: giudizio, questo sì, eminentemente teorico, ossia di astratta idoneità della condotta concreta ad offendere l’interesse protetto dalla norma incriminatrice. A differenza di quanto deve accadere nel giudizio di concreta idoneità degli atti a commettere un delitto, a norma dell’art. 56, cit. E a differenza ancora del giudizio di pericolo concreto, che deve essere non tanto pericolosità della condotta in concreto ma innanzitutto situazione di pericolo prodotta in conseguenza della condotta e risultante da sintomi univoci realizzatisi successivamente alla condotta stessa e concettualmente separabili da essa .
Per queste ragioni riteniamo che l’assimilazione dei parametri di accertamento del pericolo astratto o presunto ai fini del riscontro di offensività in concreto, con quelli relativi all’accertamento dell’idoneità nel delitto tentato, non sia del tutto corretta. Ma l’argomento, ovviamente, non può essere esaminato approfonditamente in questa sede. Qui giova rilevare soltanto che sul piano logico-giuridico la soluzione adottata dal Giudicante è l’unica coerente con il sistema, altrimenti l’alternativa sarebbe stata fare a meno della concretezza del pericolo o trasformare la fattispecie in reato di danno.
4. La soluzione adottata dal Tribunale di Torino
La pronuncia in commento supera questo scoglio a nostro avviso altrimenti insuperabile (se non, come si è appena visto, con la riferita trasformazione della manipolazione di mercato in reato di danno), lavorando egregiamente sulla struttura del pericolo concreto nella fattispecie di illecito in generale e sul requisito della sensibile alterazione del prezzo nel delitto in questione in particolare.
E precisamente: “Una volta appurato che l’alterazione del prezzo di strumenti finanziari non si è verificata, allora sono possibili due ipotesi: a) se la mancata verificazione di tale alterazione è dipesa da fattori esterni e indipendenti dalla falsa notizia che, intervenuti autonomamente, hanno vanificato gli effetti dipendenti dalla sua diffusione, allora si può fondatamente pervenire alla conclusione di sussistenza del reato […]; b) se, al contrario, l’alterazione del prezzo di strumenti finanziari non si è verificata pur in mancanza di qualsiasi altro elemento che possa aver annullato l’effetto sul mercato del falso comunicato di cui ci si occupa, allora vuol dire che la condotta degli imputati non ha prodotto, non solo il danno, ma neppure il concreto pericolo per il mercato finanziario ed occorre concludere per l’insussistenza del reato contestato” .
Su richiesta della Consob, che aveva rilevato un andamento anomalo del prezzo e dei volumi negoziati sul titolo FIAT nel corso del 2005, erano stati emessi comunicati, ai sensi dell’art. 114, comma 5, TUF, da parte di Ifil Ivestments S.p.A. e di Giovanni Agnelli & C. S.a.p.az. (quest’ultimo confermativo del primo), secondo i quali “con riferimento all’andamento delle quotazioni e rilevanti volumi scambiati delle azioni emesse da FIAT S.p.A. nelle ultime sedute del mercato, nonché alle ipotesi di stampa diffuse in data 23 agosto 2005 riguardanti un rafforzamento della quota di Ifil in vista del prestito convertendo di tre miliardi di euro, Ifil precisa di non aver intrapreso né studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo e ribadisce di non disporre di alcun elemento utile a spiegare tale andamento, né di informazioni relative a nuovi fatti rilevanti che possano aver influito sull’andamento stesso. Peraltro Ifil ribadendo quanto già espresso in sede di assemblea degli azionisti del 27 giugno 2005, conferma l’intenzione di rimanere azionista di riferimento di Ifil. Al riguardo Ifil valuterà eventuali iniziative al momento opportuno” .
La notizia così diffusa, che, cioè, alla data del comunicato, da parte del gruppo Agnelli non sarebbe stata intrapresa né studiata alcuna iniziativa in relazione alla scadenza di un prestito convertibile per tre miliardi di euro concesso alla FIAT da un pool di banche, va collegata con il regolamento contrattuale alla base di tale finanziamento, il quale prevedeva che alla scadenza (20 settembre 2005), in caso di mancato rimborso, esso si sarebbe trasformato automaticamente in capitale azionario FIAT mediante aumento di capitale, e che, dunque, ai sensi dell’art. 2441, comma 7, c.c., le banche medesime avrebbero potuto sottoscrivere le azioni di nuova emissione convertendo i propri crediti e le avrebbero, quindi, offerte in opzione agli azionisti .
In realtà, esponenti di primo piano del nominato Gruppo, in realtà avevano già a quell’epoca allestito un’operazione finanziaria che avrebbe consentito, in caso di mancato rimborso del prestito, di evitare l’effetto diluitivo del convertendo e la conseguente riduzione della quota azionaria in grado di mantenere il controllo della FIAT in capo allo stesso gruppo Agnelli. Tale operazione consisteva nella conclusione di un contratto di equity swap fra Merrill Lynch International e gruppo Agnelli per lo stesso numero di azioni che sarebbe stato necessario al Gruppo medesimo per evitare la predetta riduzione della quota di partecipazione azionaria in FIAT, senza essere tuttavia costretto a sottoscriverne l’aumento di capitale sociale a prezzi assai svantaggiosi esercitando il diritto di opzione previsto dal contratto stipulato con le banche creditrici.
La riferita notizia data con il predetto comunicato risulta, dunque, totalmente falsa “poiché il Gruppo non solo da mesi aveva studiato la soluzione al problema del mantenimento della propria quota di partecipazione in FIAT, ma aveva anche nella propria disponibilità giuridica l’esatto numero di azioni utili a questo fine” .
Di qui le informazioni diffuse, certamente false e ingannevoli, secondo l’accusa sarebbero state concretamente idonee “a provocare una sensibile alterazione del prezzo dell’azione FIAT (alimentando le aspettative del mercato circa la contendibilità di FIAT dopo l’aumento di capitale o, in alternativa, circa una futura consistente operatività in acquisto sulle azioni FIAT da parte del Gruppo Agnelli, per mantenere inalterata la propria partecipazione) così evitando la presumibile flessione, che ragionevolmente vi sarebbe stata sul titolo, se il mercato avesse appreso della esistenza della iniziativa effettivamente intrapresa, o quanto meno allo studio, tale da garantire ad IFIL di mantenere il controllo di FIAT spa, in sede di convertendo, pur senza doversi più approvvigionare direttamente sul mercato e/o sottoscrivere l’aumento di capitale” .
Il problema è che l’impianto accusatorio fonda il giudizio di concreta idoneità a provocare l’aumento del prezzo, avendo come punto di riferimento esclusivamente il contenuto del comunicato, ossia la condotta contestata, e ritenendo, conseguentemente, che l’effetto del comunicato fosse “rialzista”, posto che si sarebbe determinata una competizione per il controllo di società quotate (cd. “contendibilità” del titolo) . Ma il “giudizio” così formulato dall’accusa si fonda esclusivamente sull’analisi del testo del comunicato, seppure condotta con strumenti interpretativi tecnicamente qualificati e avallati nel caso di specie da indagini peritali. Ossia, esso si pone ancora su di un piano astratto, in quanto, pur trovando riscontro nell’analisi del mercato condotta per il periodo precedente alla pubblicazione del comunicato – in cui il titolo FIAT aveva registrato una vera impennata in concomitanza con la forte operatività di MLI per acquistare le azioni necessarie alla copertura dell’equity swap – non considera ciò che si è concretamente verificato in conseguenza della sua pubblicazione e, dunque, l’effetto da esso scaturito sul mercato secondo una prospettiva ex post e in relazione ad un elemento/conseguenza concettualmente e cronologicamente distinto dalla condotta.
In quest’ultima prospettiva – non considerata nell’impianto accusatorio ma fatta propria dal Tribunale di Torino – occorre dunque guardare a “ciò che è effettivamente accaduto nel mercato finanziario dopo la diffusione del comunicato di cui si tratta, al fine di poter fondare su eventuali segnali di mercato e su elementi concreti il richiesto giudizio di pericolo di alterazione del prezzo di strumenti finanziari” . Che il comunicato in discussione fosse non solo falso ma anche astrattamente in grado di produrre un “disturbo” del mercato finanziario – come pure venne giudizialmente accertato in sede di opposizione ai sensi dell’art. 187-septies TUF contro la delibera Consob n. 15760 del 9 febbraio 2007, adottata ai sensi dell’art. 187-ter TUF – non è in discussione “mentre più complesso è il passaggio dal giudizio di astratta pericolosità a quello di pericolosità in concreto” .
Invero “il comunicato oggetto di contestazione non ha prodotto nessun effetto sul mercato; certamente non ha alterato il prezzo di strumenti finanziari, ma non ha neppure prodotto alcun segno concreto di pericolo riguardo a tale alterazione” . E ciò può affermarsi sulla base di quanto hanno constatato i periti, ossia che “nei giorni immediatamente seguenti le date sopra citate (24 agosto e 15 settembre) non si manifestano eventi che producono impatti sul corso azionario statisticamente rilevanti e che pertanto le successive modifiche di prezzo (a meno di elementi erratici statisticamente non significativi) sono da ricondursi alle dinamiche del mercato e/o del comparto automobilistico” .
Pertanto, è l’assenza di cause esterne ed estranee alla condotta dell’agente che abbiano influito sul mercato, evitando che ne venissero portate ad effetto le conseguenze dannose, ad escludere la sussistenza della pericolosità in concreto.
A questo proposito il Giudicante per rendere più chiaro il suo pensiero ipotizza, a titolo di esempio, l’effetto che potrebbe avere l’intervento di una comunicazione Consob correttiva, si sensi dell’art. 114, comma quinto, TUF, emanata proprio allo scopo di correggere o integrare notizie non divulgate o non correttamente divulgate, così annullando la concreta pericolosità della condotta decettiva.
Invero è da osservare al riguardo che, nella prospettiva esaminata (che condividiamo), la causa estranea alla condotta che, influendo sul mercato, sia in grado di evitare gli effetti dannosi di quella, dovrebbe avere, a nostro avviso, carattere impeditivo rispetto ad un decorso causale già dispiegato in tutti i suoi elementi intermedi che precedono l’evento lesivo finale. Altrimenti, ove una simile causa intervenisse in una fase antecedente, essa non potrebbe essere sintomatica di pericolo concreto, ma soltanto di una astratta idoneità della condotta a produrre l’evento. Si pensi, riprendendo lo stesso esempio da ultimo proposto, ad un comunicato correttivo o integrativo della Consob che intervenisse prima dell’apertura del mercato in cui è negoziato lo strumento finanziario del caso: il giudizio di pericolosità riferito alla condotta ingannevole (diffusione di notizie false) sarebbe ancora un giudizio di pericolosità in astratto.
5. Manipolazione di mercato e condotta omissiva
Anche su questo punto la sentenza in commento presenta notevole interesse. Analogamente a quanto affermato nel caso Parmalat , vi si ribadisce, infatti, che la condotta delittuosa nella manipolazione di mercato si presenta come commissiva e non può quindi fondarsi sulla base di essa una contestazione di natura omissiva .
Per tale ragione non è condivisa dal Giudicante l’impostazione dell’accusa, secondo la quale “per poter poi assegnare concretezza alle riferite astratte valutazioni, si deve eseguire un raffronto tra gli effetti del comunicato che è stato diffuso e quelli che avrebbero potuto derivare da un diverso comunicato” . Si andrebbe in questo modo, secondo il Tribunale di Torino, a trasformare una ipotesi commissiva in omissiva, consistente nella mancata ottemperanza al dovere di comunicare il vero, la quale, invece, già trova in altra sede la sua risposta sanzionatoria da parte dell’ordinamento .
Inoltre, si prosegue in motivazione, seguendo l’impostazione già richiamata relativamente ai rapporti del delitto in esame con il corrispondente illecito amministrativo, si può facilmente comprendere che la diffusione di una notizia falsa all’indirizzo del mercato è già sanzionata quale illecito amministrativo ai sensi dell’art. 187-ter, cit.
A nostro parere, per la verità, quest’ultimo argomento non sembra dirimente, per ragioni che non possono essere spiegate nell’economia del presente lavoro. E’ invece decisivo e condivisibile il primo argomento, ossia che non è consentita la trasformazione di una fattispecie di reato a struttura commissiva in fattispecie omissiva, se non nell’ambito dell’art. 40, cpv., c.p.
Il punto, relativamente al caso di specie, è se l’omissione di una comunicazione doverosa a termini delle disposizioni contenute nel TUF, finalizzate ad ottenere una corretta e completa informazione del mercato, ove produca una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari (o il pericolo della sua verificazione) oggetto della comunicazione, possa integrare l’elemento oggettivo della manipolazione. Ma in questo caso il problema riguarda la riconducibilità di una simile omissione al concetto di “altri artifici” utilizzato dal legislatore nell’art. 185, cit. (accanto alla diffusione di notizie false e alle operazioni simulate), per descrivere la condotta tipica del reato.
Nei termini posti dall’accusa nel processo torinese a carico di esponenti del gruppo Agnelli, si deve ritenere che sarebbe stato assolutamente inaccettabile identificare quali parametri della concreta pericolosità della condotta decettiva gli effetti che sarebbero derivati da un diverso comunicato avente contenuto veritiero. Ed infatti, correttamente, una simile prospettiva non è stata accolta. Il ragionamento che essa sottende è totalmente estraneo al sistema normativo e rappresenta tipicamente il tentativo di introdurre una giurisprudenza “creativa” in materia penale.
Come si è già avuto modo di rilevare , l’inottemperanza al dovere di comunicare la notizia vera non può, da un lato, costituire obbligo di impedimento dell’evento e fondare così una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 40, cpv., cit., ove l’omissione stessa abbia autonomamente rilevanza sanzionatoria, come accade nella materia che stiamo trattando rispetto alle disposizioni del TUF che impongono obblighi di comunicazione. Dall’altro lato, la manipolazione di mercato presenta una struttura in cui la condotta tipica non sembra potersi leggere in chiave di equivalenza fra l’agire e l’omettere e, dunque, per tale ragione, non appare ipotizzabile una responsabilità omissiva al di fuori dello schema dell’omesso impedimento dell’evento e del reato commissivo mediante omissione.