Nell’ambito della nota vicenda della “scalata” alla banca Antonveneta, con la sentenza Sezione V, 25 novembre 2008 n. 44032, la Corte di Cassazione, ha ribadito, in riferimento al reato di manipolazione del mercato, l’orientamento affermato dalle Sezioni unite con la sentenza n. 26654 del 2008, secondo cui il profitto del reato va inteso, al di fuori di parametri valutativi di tipo aziendalistico, come complesso dei vantaggi economici tratti dall’illecito e a questo strettamente pertinenti.
Sulla base di questa nozione, la Corte ha infatti escluso che, ai fini del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma 2, c.p.p., dal profitto del reato di manipolazione di mercato (soggetto alla confisca obbligatoria di cui all’art. 187 T.U.F.) debbano essere necessariamente detratte le “competenze bancarie” sostenute per ottenere l’affidamento necessario per l’acquisizione di titoli azionari oggetto di aggiotaggio. Nel caso di specie, si trattava infatti di spese riguardanti un’attività strumentale alla realizzazione dell’illecito non meritevoli, in quanto tali, di tutela alcuna da parte dell’ordinamento, né tantomeno suscettibili di far discendere alcun vantaggio per il reo sul piano economico.
La sentenza, peraltro, richiama in motivazione la legge del 25 febbraio 2008, n. 34 (legge comunitaria per il 2007) con cui si è conferita al Governo la delega per l’attuazione della Decisione quadro 24 febbraio 2005 dell’Unione europea relativa alla confisca di beni, strumenti e proventi di reato (2005/212/GAI). L’art. 31, comma 1, lett. b) di detta legge precisa infatti che per proventi del reato dovranno intendersi il prodotto ed il prezzo, nonché il profitto derivante direttamente o indirettamente dal reato.